Racconti

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Racconto n. 1

Racconto n. 1. L'idraulico[1]

Tutta la mia vita è stata tragicomica. Finora. Almeno finora. Forse l'essenza del tragico è il traffico. Tutte le cose e le persone, le macchine, le navi, eccetera che accompagnano le vicende del vivere. Il comico invece nasce dalla confusione, ma non è la confusione medesima.

Sono sempre stato alla ricerca della vera grandezza. Ovviamente senza sapere che cosa sia la grandezza. Già in questo c'è un elemento comico. Cioè, io cerco il sublime ad ogni istante, sono invasato di retorica al punto di non pensare ad altro perfino quando cerco di fare l'amore. Ma il tragicomico genuino scatta solo quando quasi miracolosamente mi sbarazzo del patetico che mi affligge fin da bambino.

Le mie foto da piccolo mi dicono che ero non poco imbronciato. Con un cocco nei capelli.

Ricordo le palette e i rastrelli, i castelli di sabbia e i fossi coperti da carte di giornale per fare le trappole, le palline di vetro che mi hanno sempre ricordato le palle degli occhi, occhi verdi che non ho mai avuto ma che avrei voluto avere.

Ho quasi sempre pettinato i miei capelli con la riga a sinistra. Sono insieme un tipo fragile e robusto. Ho un leggero strabismo. Sono sempre stato attratto dal cielo, dai sogni, dalle pozzanghere e dalla filosofia. Quando ho cominciato a pensare? Probabilmente durante la tarda infanzia, mentre battevo i pugni vicino al muro della mia stanza per comunicare con mia sorella che stava dall'altra parte. C'è, in questo un piccolo tumulto notturno, un tambureggiare destinato ad avere uno strascico pauroso nella mia vita. Paura del traffico come dicevo. Paura degli animali, paura di tutto ciò che è situato rispetto a me troppo vicino o troppo lontano. E' il problema tragicomico delle distanze. Anche questo un aspetto destinato a moltissimi strascichi, specie con le donne. Distante da cosa, distante da chi? Da me stesso o dall'altro?

Cerco me stesso da sempre. Cerco gli altri anche da sempre. Chi altri nel labirinto di vetro della mia vita entrano ed escono senza far rumore o, al contrario, provocando grandi problemi.

A sette anni vado in carrozza. Con mia madre a scuola. Chiedo di sedere accanto al cocchiere. Mi sento piacevolmente sfiorato dalla coda del cavallo. Tutto è un gioco. Forse comincio ad interessarmi troppo di alcuni particolari. La cacca del cavallo tra le pietre delle strade.

Sono pieno di nonni, di zii e zie, di cugini e di tanti altri parenti come in tutte le famiglie numerose meridionali. Sono scatenato e piango per un nulla. Timido imbarazzatissimo timoroso al limite del patologico di fare brutta figura e mia madre dalla quale non mi distinguo ancora veramente fino a più di 16 anni. Credo di essere ingrassato non appena ho cominciato ad indossare i pantaloni lunghi. In questo ci deve essere un collegamento che non riesco ad individuare.

Quando mi sono accorto di avere un corpo? Forse una volta che sono caduto dalla bicicletta o un'altra che tentando di fare un salto più lungo della gamba ho sentito rimbalzare il cuore? O addirittura solo nell'adolescenza con i primi desideri sessuali?

So che a 12 anni andavo già da solo in treno. Certo che da questo punto di vista però non sono stato precoce. Mi piacerebbe capire se i miei sentimenti verso l'umanità sono stati dapprima positivi per poi tralignare o viceversa se ho cominciato con l'odio e con la disperazione per arrivare solo con la maturità a qualcosa di più equilibrato.

Forse sto scrivendo cose sciocche. Avverto una voglia di scoprirmi di esprimermi per iscritto non già di confessarmi ma di conoscermi attraverso le parole. Tutto questo è abbastanza giusto. Ma il vero punto in questione è un altro: cosa mi è successo stanotte?

Indubbiamente ho preso le cose molto alla larga. Con questo afflato autobiografico.In realtà il tragicomico è quello che mi è accaduto stanotte.

Nel 2001, aprile, che avevo ormai passato da un bel po' i 50 anni. Dunque ero con una donna. A casa sua. Da soli. Abbiamo visto un film alla televisione: "Il viale del tramonto". Prima eravamo stati a cena in una taverna. Nella periferia di Roma. Siamo colleghi d'ufficio. In poche parole le ho rotto la tazza del cesso. Credo che la causa prossima di questo evento tragicomico sia il mio peso enorme.

Sono un bestione. Mi sono sentito un bestione. Mi sono visto allo specchio del bagno. Ho quello che viene definito un addome globulare.

Niente a che vedere con il grande tema di questi ultimi anni della globalizzazione? Certo devo tentare di parlare anche un po' del mondo e non solo di me sennò rischio di diventare noioso. Già successo. Ecco! Non ho più quasi niente da raccontare. Sono arrivato alla fine ben presto. Il gorilla ha regalato il suo cuore moltiplicato per sette ad altrettante colleghe d'ufficio. Un caso di rilasciamento delle feci? Quest'ultima ipotesi o versione che dir si voglia riduce all'osso le faccende del tragicomico mediante la quale avrei voluto prendere l'avvio per scrivere sarà tragicomico-anale?

Dopo quest'ultimatum, lanciato come una sfida a me stesso ed alla mia noia perché mi decide finalmente a non mentire, affido alle pagine questa solenne dichiarazione: sono caduto in un buco nero stamattina sulla metropolitana, linea B alle 8 e 10 circa.

Dopo la nottata tragicomica.

Una settimana fa andai al mare di notte con due amici.

Insomma, ho l'impressione che da almeno 3 o 4 anni vivo a casaccio.

Ho seriamente quest'impressione ed anche l'altra di raccontare la mia vita prima di viverla. Non credo che tra le due impressioni ci sia incompatibilità logica. Devo cominciare a scrivere a partire dalla realtà esterna.

Perché il mondo non mi interessa più? E' dal mondo che devo cominciare. Ogni 15 giorni circa da 10 anni e più mi vedo sempre con lo stesso gruppo di amici. Vorrei che le parole fossero come onde sullo sfondo del mondo, sullo sfondo del traffico, sullo sfondo anche -perché no?- del tragico.

Il traffico è un grigio che tende al nero o è un caos di colori dietro cui si nasconde il bianco assoluto.

Oggi è venerdì. Sono le 16. E' l'ora più bella della settimana da quando ho il sabato libero. Le 16, le 17 e così via...

Niente da fare. Sono un disgraziato (17 è la disgrazia) perché le ho rotto il cesso. Riecco questa faccenda del cesso. Del resto la tentazione di assumere la merda come parametro principale per raccontare la cosa è facile.

Bisogna ammetterlo.

Com'è possibile che gli uccelli facciano lo stesso verso alle 5 di mattina ed alle 17 del pomeriggio?

E i vocalizzi allora?

Ma quelli sono di sera!

Ogni giorno da 1 anno ormai acquisto 5 o 6 giornali ogni mattino. Ogni giorno da 20 anni ormai penso a quasi tutte le donne della mia vita.

[...][2]

Poi mi tiro su con gran fatica ma quello che non riesco a fare sono le domande.

Vivo in un appartamento non poco caotico e soprattutto approssimativamente. Voglio dire che vivo approssimativamente ed anche abito approssimativamente.

Quando ho preso la decisione di fare così avevo dei motivi perché non ci fosse niente di serio nella mia vita.

Ora li ho dimenticati o non ci credo più. Anche prima non credevo in niente. Ma adesso è peggio.

Credo in mille cose sapendo di mentire. Ho un'amica lontana a Berlino. Le voglio molto bene ma ci vediamo raramente. Dicevo del problema delle distanze.

Dunque, da piccolo o nella prima adolescenza io e mia sorella avevamo inventato questo gioco di comunicare in codice battendo i pugni sulla parete che divideva le nostre due stanze, un certo numero di volte e con colpi ogni volta più o meno secchi e duri.

La distanza?

Un tempo non mi ponevo il problema "fisico" della distanza. L'effetto a distanza.

Una cosa che già unisce spazio e tempo in un modo intricato abbastanza da perdercisi dentro. Come la scala a chiocciola della mia casa natale o la spirale di freddo fuoco nelle palline di vetro. Quel genere di forme che ti fanno rabbrividire, smarrire in un silenzioso fragore tra gli alberi incontrati di una fantasticheria che somiglia troppo ad una strada reale. Certo, ci fu l'epoca dell'autostop. Non so dire se ho avuto molti o pochi amici. Se ho mai dato veramente importanza "personale" ai fatti storici.

Come accennavo: me la sono svignata nel mondo dei sogni. E' una tendenza inarrestabile. Mi dispiace... fino al punto di sentire intensamente che non può mai accadere niente di reale.

Facile dire: "è una difesa".

L'irreale ha una potenza immensa. Non so se dipende dalla società.

Per ora basta.

Sono un bibliotecario.

Il mare lo guardo da sempre. Si pensi che sono quasi nato in un'isola! Quale sia quest'ultima, forse non ha vera importanza. E non tanto per ragioni geografiche. Da dove cominciare il racconto?

Ricordo che una volta mi piaceva fissare a lungo gli acquari.

Ho cominciato a fumare in uno stanzino della casa di Bacoli 40 anni fa.

Perché dirvi che ho smesso due, tre, o infine quattro volte?

Mi piaceva fare barchette di carta.

Questo è un altro chiodo fisso. Dico il fatto di notarlo, di scriverlo.

Oppure le panchine. Sono dei temi convenzionali, tipici di uno che vuole a tutti i costi fare senso con nulla. Ossessione del colpo di dadi. Dell'avvenimento assoluto, del vento, della notte, del tempo. Non ho mai fatto nulla. Sono sincero mentre lo scrivo. Credo sia proprio così. Proprio così alla lettera. Intendo dire che sul piano del senso, del sentimento, non mi suona come esagerazione. Insomma stanotte ho rotto il cesso di una mia cara amica. Poi sono andato a lavorare. Dal telefono dell'ufficio ho cercato a lungo un idraulico. Com'è successo?

Bisognava, sia pure sinteticamente, spiegarglielo per dare dei ragguagli oggettivi allo scopo di fargli capire realmente l'entità del piccolo grande disastro. Siamo ormai giunti alla pasqua. L'altro giorno, che ero malato, o che tale mi ero dato, o "tutt'e due" mi aveva bussato il parroco. Voleva benedire la mia casa. Inutile dire che quest'eventualità mi ha seccato molto. O, per meglio dire, o "tuttedue" mi avrebbe seccato molto. Tutta la mattinata se ne andava in colazioni pane e mortadella prima di lavorare nel senso che quando ero disoccupato ero ad uso fare questo tipo di colazione la mattina che se ne andava con le lunghe. Illusione, che facendo lunghissime passeggiate si possa riuscire quasi a fermare il tempo. Fermare il nulla. Fermare il tutto. Fermare tutto. Fermare il mondo. Fermare quest'improvvisa ed assurda voglia di scrivere. Vorrei vivere altrove. Partire sempre. Avere tanta energia di ripartire sempre. Posso tentare almeno di immaginarlo. Strade e strade e strade ancora sempre nuove sempre strade. Barattoli da colpire con la punta delle scarpe. Volti sempre nuovi. Niente guerre. Dappertutto nel mondo. Non che mi piacciano particolarmente i fiumi. I paesaggi. Tutt'altro. Ci si stanca con la natura. Il problema è l'immagine. L'immagine sogno che potrebbe anche non stancare mai. L'immagine di una vita raminga o anche randagia. Altro punto fisso: la questione derisoria della mia presunta o effettiva fobia dei fatti.

GATTI e non parole per riempire il tempo immaginato. Ecco il problema: il tempo e come immaginarlo.

Non ho più il tempo di immaginare il tempo. L'uomo sulla terra è diventato come una lumaca ad altissima velocità. Cosa leggermente mostruosa. Difficile vedere il presente.

A proposito o a sproposito, non so se a mia amica lei h trovato un idraulico.

Oggi mi sembrano uno di quei giorni in cui iniziano le vacanze. Non so se estive. Ma poi vedo strade bianche, assolate.

Invece è solo l'inizio di un piccolo wickend che tra un soffio sparirà riassorbito nel bassifondo feriale. Ma questo scoppio di vitalità mediterranea?

Dev'essere tutto merito di Aprile. Un mese che è per me il più bello. Lo è sempre stato o una volta preferivo Maggio? No! Aprile! E' sicuro. Il motivo è lo stesso di quello che viene addotto per spiegare le ragioni del perché occorre guardare un po' al lato di un corpo celeste per metterlo a fuoco. Se non sbaglio si chiama ARAGO, dal nome di un astronomo. Un po' al lato di Marzo, di Maggio. A seconda se vieni da destra o da sinistra.

Ciclico. I giorni snocciolano.

Colonne di carte da gioco

a soffietto. Prestigiatori.

Guardo nel muro i segni

appaiono i pesci dell'acquario.

Con mio padre il sabato sera tardi

tornavamo a casa camminando sui binari.

E' un ricordo del sapore degli anni 50.

Le scarpe, le scarpe, le scarpe.

Le scarpe, le scarpe, le scarpe.

E tra le une e le altre

I baveri alzati

per non prendere freddo.

I baveri militari.

Un vago sapore di guerra

di contrabbando

prima che io nascessi

già mio padre

le barche le barche le barche.

No! Non c'è più quel posto

Non ci sono più occasioni simili.

L'Italia è cambiata.

Parlo di stanze, ma non si può dire se rubate

imprestate, abbandonate.

Prima che io nascessi.

Quando nacqui piante di gerani

lampadari spolverati.

Altro chiodo fisso.

Biciclette, poi motore aggiunto ai pedali, poi motorino, poi vespa, poi side-car, etc. Topolino.

Americani che deridono quest'ultima.

E' così la storia che cammina insieme ai mezzi di locomozione.

Le radici. Filone troppo presente.

Meglio lo sperdimento.

Pasqua con le rinascite.

Natale con i sogni dell'infanzia.

Meglio lo sperdimento.

Meglio lo squallore.

Perché? Per via del mondo

Certo il mondo esisteva anche prima

della mia generazione.

Esisteva la domenica del corriere almeno

faccio per dire.

E i padri degli amici?

E gli amici dei padri?

e così via?

Di cosa parlare?

Quando si comincia a incrociare le parole....

Specie dal lato dei concetti si traballa un po'

si mette male per lo scrivere

ma bisogna fare appello ad ogni risorsa autentica del raccontare.

Per esempio, il fatto che ieri

quando la ragazza mi ha invitato

a casa sua io ho deciso di andarci.

Con la macchina sua

e la mia l'ho lasciata nel parcheggio.

Allora, quando poi oggi dopo i fatti

che stiamo raccontando

l'ho ripresa, era talmente accaldata che mi pareva l'estate.

Non potevo toccare il volante.

Comunque sono tornato a casa

appunto con la mia macchina

e mi sono messo a scrivere.

I fatti di cui parlo, i fatti che

stiamo indagando l'idraulico eccetera

eccoli nudi e crudi:

ho rotto il cesso della mia amica.

Questo l'ho già detto non so quante volte.

Anche il fatto che i fatti sono tragicomici

l'ho detto. Anzi questo è addirittura

l'esordio.

Fatto sta che la madre della mia amica,

quella con la quale ieri sera ho cenato

e con la quale poi abbiamo visto insieme

"Il Viale del tramonto" alla televisione

mia amica- dunque- s'innamorò

durante la guerra credo di un tedesco.

La foto di costui sta ancora

al capezzale del suo letto.

Intendo dire il letto della madre.

Ma stanotte... ecco i fatti....

nel letto della madre ci ha dormito lei

la mia amica.

Ed io invece ho dormito

nel letto della figlia.

Quale figlia?

La mia amica non ha figlie.

E' lei la figlia.

Ma lei dice che vorrebbe essere la figlia.

Vorrebbe.



[1][1] Racconto successivo al 2001, a cui Mimmo teneva moltissimo. Una sera d'autunno mi telefonò e mi disse che aveva scritto una storia veramente bella. Io avevo circa 26 anni e lui 54. Mi diede appuntamento da Giolitti e, nella storica sala, davanti a una grande coppa di nocciola, mi lesse in un paio d'ore il racconto, tutto d'un fiato. Ma non era completamente soddisfatto e mi lasciò il quaderno manoscritto perché me lo rivedessi, magari lo trascrivessi e poi lo potessimo aggiustare insieme. Poi, nei mesi successivi, mi chiese più volte se avessi avuto modo di rileggerlo, ma purtroppo mi mancò sempre il tempo. Ciro Di Fiore.

[2] segue breve frase incomprensibile

Racconto n. 2

Da Quaderno 194 (giacomo)

L'aspetto del cielo

Basta un minuto e forse anche meno perché l'aspetto del cielo cambi completamente ma questa estrema mobilità cela forse nella sua stessa espressione un altro mutamento che non si può dire riguardi il cielo. È quello del rapporto fra l'animo e il mondo. L'animo o l'anima. La linea che un attimo fa sembrava dominare un panorama caratteristico di una laguna nordica, ora invece somiglia di più alla sua immagine mediterranea. Queste voci di bambini all'imbrunire che entrano nella mia stanza le ho ascoltate da sempre. Il numero delle luci che si accendeva nelle case della zona visibile dal balcone cresce insensibilmente. È chiaramente impossibile sorprendere il mutamento, il tempo, l'immagine mobile dell'eternità in un suo punto di svolta maggiore. Questa è certo una delle ragioni principalei per le quali il concetto di segno è ingannevole e non si sa dire cosa significhi.

Quando non ho più niente da dire la penna mi cade di mano o sono io stesso che la lascio cadere. La ricerca di qualcosa di preciso che possa essere notato per iscritto è una strana avventura. Non è esatto dire che l'attenzione fluttua dall'interno all'esterno e viceversa in questa ricerca.

Una leggera nebbia circonda la luna oppure ne fuoriesce come del fumo lontano. Ma sono in realtà delle nuvole poco dense che trascorrono davanti ad essa, e perciò s'indorano in modo caratteristico, magico. Un altro dettaglio consueto di questi momenti tipici di quando sto sul chi vive

Racconto n. 3 

U

Viveva in un'ala di un grande palazzo. Le finestre del soggiorno si affacciavano su un grande giardino ai cui margini cresceva la vigna. Rendeva bene il raccolto! Circa 10 quintali di uva trasformati in ottimo vino.

U. era un discendente dell'antica famiglia dei Mauri di Rocca Secca. Bassino si vestiva in modo trasandato, il + delle volte con abiti di colore beige. All'epoca dei fatti aveva suppergiù 39 anni. Era un archivista del castello Aquino. Si interessava alla storia secolare di quel posto. La distanza tra Rocca Secca e Aquino è di circa 5 o 6 km. Usciva con la sua vespa verso le 9 di ogni mattina. Dopo aver fatto colazione, subito si inoltrava nella strada alberata. Per raggiungere Aquino, doveva attraversare la Casilina. Il nostro U. era quasi arrivato al semaforo quando udì una macchina munita di altoparlante che annunciava alla gente della Ciociaria che la domenica successiva sarebbe iniziata una fiera di gente di teatro proveniente da tutto il mondo, perché l'ONU aveva deciso di far svolgere tale manifestazione che tanto gli stava a cuore proprio in Ciociaria. Inoltre, anche un altro essere umano in quel momento si trovava non lontano dal luogo in cui U. si fece sorprendere dalla voce proveniente dal megafono. Diciamo Subito che si trattava di un'ex bibliotecaria della Sapienza di Roma, Graziella Di Girolamo, anch'essa fu incuriosita dall'annuncio. In quel momento stava acquistando un mellone, frutto di cui era molto ghiotta. Questa Graziella era una donna di notevole cultura e fino a 15 anni prima era stata la consorte felice di un giornalista di una certa fama la cui figura pubblica, da certe ns ricerche, è risultata essere connessa a molteplici vicende politico-culturali che furono al centro dell'opinione pubblica italiana per lo più intorno agli anni '70.

Il ricordo che la ns bibliotecaria conservava ancora vivace della sua attiva partecipazione alle vicende in cui fu coinvolto suo marito durante quegli anni, rappresenta di per sé una conferma del fatto che le imprese degli uomini e delle donne italiane quando si tratti di fatti importanti sono dotati di un'oggettiva dignità storica. Ma qualcosa che evidentemente si diffuse nell'aria mattutina a partire dalla frasi altisonanti che il lettore sarà capace di intuire per quanto concerne la curiosa caratteristica della loro inappartenenza al contesto del paesaggio ciociaro, fece evidentemente sì che quqndo per forza di cose la vespa di U. , dopo che l'automobile dell'ONU si era ormai allontanata restituendo il silenzio rurale consueto a quel paesaggio, giunse a portata di voce del posto di vendita dei melloni dove la signora Di Girolamo ancora si tratteneva senza sapere nemmeno lei bene perché, guardando il contenuto della sua borsetta per cercare l'accendino, fu appunto giocoforza che fra i 2 nascesse del dialogo. L'iniziativa la prese proprio Graziella : "Mi scusi se la disturbo, vespista, lei giunge in un momento diciamo così particolare per poter essere gentile a spiegarmi come mai la pace di questa terra ciociara scordata da dio e dagli uomini forse da più del periodo di Nino Manfredi, Ingrao e Andreotti abbia dovuto essere turbata da un annuncio così surreale". U., di cui anche per quanto lo riguarda diciamo sibito che non era un fessacchiotto qualsiasi senza un cognome, che non solo l'aveva come per tutti noi è normale, ma era un cognome molto fiorito (De Olivares y de la Roche ex Bagnolis Paladinus) rispose: "Signora mia bella, a cui non darei più di 40 anni, quell'annuncio non è surreale, ma anzi era ora che qualche anima pia, e con questo termine includo anche l'ONU, si interessasse a queste contrade dimenticate da tutti! Se lei sapesse cosa ho scoperto, in quanto archvista nel castello di Aquino, non si meraviglierebbe dell'interesse dell'ONU per queste terre, se appunto noi due siamo i rappresentanti di questa terra per l'ONU".

Graziella lo guardava a bocca aperta pensando che doveva esserci suo marito con lei o per lo meno suo figlio. Non che lei non potesse farsi delle idee delle situazioni da sola. Intanto però dobbiamo dire dove si stesse recando la Di Girolamo dopo aver acquistato il mellone. Si stava dirigendo verso la stazione di Rocca Secca per ritirare dei romazi che le sarebbero arrivati via treno, con l'espresso delle ore 12 proveniente da Roma e diretto a Brindisi.

U. si offre di accompagnare la gentildonna con la vespa alla stazione. Lei accetta perché si è fatto tardi e non vuole rischiare che il pacco contenente quei romanzi per lei così imporatnti vada smarrito per uno stupido disguido internazionale, per colpa cioè dell'ONU. I due si dirigono verso la stazione e mentre quest'ultima già diventa per loro visibile, anche il fischio del treno postale di mezzogiorno è diventata per loro una percezione concreta. E' logico dunque prevedere che tutto si svolga nel migliore dei modi. Quanto alla fiera di gente di teatro sponsorizzata dalla più simbolica delle organizzazioni del paese, pensa silenziosamente G:, se ne riparlerà forse in seguito, quando se ne ripresentasse l'occasione. Per il momento dal suo punto di vista, l'unica cosa di cui preoccuparsi fattivamente e alla luce del sole rispetto al suo autista-accompagnatore le sembra essere quello di non negare alla pur mediocre videnda del loro incontro il beneficio di un commento che del resto lei un attimo prima di articolare già si autorappresentava con una sequenza abbastanza dotata di buon senso, costituita di tutta una serie di: "Ma guarda tu chi ci doveva dire stamattina questa nostra avventura su due ruote". L'altro nemmeno aveva compreso bene tutte le parole, perché il vento, il fischio del treno, nonché la sua in lui innata sbadataggine e costante disattenzione rispetto ai dettagli quotidiani della vita, insomma tutta questa congerie di ostacoli o di inezie a piacere non era tale tuttavia che chiunque non sarebbe stato obbligato alla logica più inconfutabile a riconoscere nella sua innegabilità assolutamente evidente .serisci qui il tuo testo...

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